The First Day of the Rest of Your Life (= Il primo giorno del resto della tua vita), diretto da quel piccolo genio malvagio che è Greg Nicotero, chiude il cerchio della tirannia di Negan e ne apre un altro carico di speranza, che è il vero tema principale della serie. Molti credono che il fulcro della saga sia la violenza e gli zombie, e quindi faticano a digerire alcune puntate da loro definite “lente” che invece servono per accrescere la tensione e alcune volte per capire il peso di certe decisioni. Prendete per esempio le parole pronunciate da Rick con la forza di un uragano, preso dalla disperazione per voler proteggere il figlio ma allo stesso tempo brucianti del fuoco della vendetta: non avremo percepito il suo discorso in modo così potente se non avessimo visto tutto il peso della sofferenza, della denigrazione e della paura che hanno caricato le sue parole.
Elevata ad emblema di questa nuova ventata di speranza è Sasha (Sonequa Martin-Green), a cui molto a malincuore tocca dire addio. Dai primissimi fotogrammi della prima scena si capisce che Sasha ha deciso di sacrificarsi per il bene del suo gruppo, e ho trovato fantastico il modo in cui hanno mostrato lo spirito che si cela dietro questa scelta. Sasha non si è uccisa per vendicare Abraham (Michael Cudlitz), ma per salvare coloro che ormai considera come una famiglia. Ed è lo stesso Abraham, attraverso l’ultimo ricordo di Sasha, a svelare a noi la sua vera natura e a lei a ricordare chi è, una guerriera formidabile e senza paura, la cui missione di vita è proteggere i più deboli. Sinceramente è un personaggio che ho sempre ammirato, forte, decisa, coerente con se stessa. Il modo in cui hanno deciso di farla morire altro non è che un omaggio a Sasha, solo lei poteva avere abbastanza p***e per fare una cosa del genere. Il girlpower regna sovrano in questa serie e questo finale ne è stato l’apoteosi.
Ma c’è un altro personaggio che ha dimostrato di avere della p***e di dimensioni bibliche, Rick. Le parole che sputa addosso a Negan, a cui ho accennato prima, sono la chiara dimostrazione del perché il gruppo di Atlanta prima e poi gli altri lo hanno scelto come capo. Ci vuole un coraggio immane e probabilmente anche una certa dose di disperazione per dire a qualcuno che ha massacrato i tuoi amici e minaccia di uccidere tuo figlio e lasciarti menomato, che non importa dove e quando, ma lo ucciderai. È la prima volta che vediamo Negan rimanere letteralmente senza parole per la rabbia, ha capito benissimo che i suoi metodi convenzionali basati sulla violenza sono ormai inutili, nonostante le persone siano forza lavoro, è consapevole che se vuole continuare a vivere deve ucciderli, se non tutti almeno quelli con le personalità più forti. La guerra è iniziata, ed esploderà in tutta la sua pienezza già dall’inizio dell’ottava stagione, un regalo di arrivederci ben gradito.
Ma in chiusura di una stagione così pregna di avvenimenti non potevano non fare un omaggio a uno degli eventi che più ha sconvolto i fan fin dall’inizio della serie, la morte di Glenn (Steven Yeun) e Abraham. A qualcuno sarà sembrato ridondante, ma ad un personaggio del calibro di Glenn è dovuto. Il discorso finale di Maggie (Lauren Cohan), ispirato dal marito morto, è uno dei dialoghi sulla speranza e la fiducia tra i più belli che abbia mai ascoltato, non avrebbero potuto trovare mezzo migliore per onorare la sua memoria. Ma per un omaggio a un personaggio creato purtroppo ce n’è un altro a uno che i personaggi li creava, Bernie Wrightson, artista di fumetti horror (Swamp Thing), il cui lavoro ha ispirato la creazione degli zombie della serie, deceduto il 18 marzo scorso.
Le grandi protagoniste di tutta la stagione, ammettiamolo, sono state le donne. Prima fra tutte Shiva, il cui balzo felino, tempisticamente perfetto, le fa vincere, ipso facto, la corona di regina (che poi, già solo che è una tigre, la vince a zampe basse). L’enorme evoluzione fatta da Maggie da sola vale tutta la stagione. Non si è fatta abbattere dal dolore, ma anzi l’ha incanalato in qualcosa di più produttivo fino ad arrivare ad essere vista come una leader naturale. L’obiettivo di costruire il giardino dell’Eden all’Inferno rimane un punto fermo nella sua mente, probabilmente rafforzato dell’imminente maternità. La mamma, la guerriera, la leader, la donna. Maggie è tutto questo al pari di quella che ritengo la sua controparte, Carol. Lei, al contrario di Maggie, si è lasciata andare al dolore e alla paura per ciò che era diventata. L’unica cosa che desiderava era rimanere da sola, così da non poter fare del male a nessuno. Ma, dato che “life is a bitch“, quando è arrivato il momento di prendere per davvero qualcuno a calci nel sedere, non ci ha pensato due volte, si è rimboccata le maniche, ha preso le sue armi ed è andata a dare due schiaffi ad Ezekiel (Khary Payton) per svegliarlo (non ditemi niente, nella mia testa le cose sono andate esattamente così!). Per quanto riguarda Michonne (Danai Gurira), penso sia lapalissiana l’importanza che ha avuto in questa stagione.
Insomma, tra girlpower, tigri, leader nuovi e ritrovati, mazze spinate e tradimenti, possiamo tranquillamente dire che anche quest’anno (seriale) The Walking Dead ha fatto bene il suo sporco lavoro, regalandoci una gamma di emozioni che vanno dal trauma più profondo (ogni volta che c’era Negan mi saliva l’ansia e questo la dice lunga sulla costruzione che è stata fatta del personaggio, a mio parere) alla gioia più incontenibile (quando Shiva ha salvato Carl, ho esultato come manco pe’ un gol daa Roma).
E con questo vi saluto zombie-fan, al prossimo autunno.
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Stay tuned